Yvan Beltrame
Yvan Beltrame

ANCORA UN'INTERVISTA

Su queste fragili dune

 

L'ombra del cielo ancora ci aggredisce

su queste fragili dune.

Il mare scavalca la tua fronte,

ai miei pensieri lascia la tua barca.

 

Attilio Carminati

 

L'isola degli Armeni vista dal Lido di Venezia

 YVAN BELTRAME: GUSTO PER IL COLORE

di Marcello Colusso


(intervista del gennaio del 1999).

 

Caro Yvan, hai da poco compiuto 82 anni. Vorresti ricordare per i lettori di Taste Vin i momenti più importanti della tua vita artistica?

Tu mi fai ricordare che sono vecchio, ma sappi che so ancora apprezzare le belle donne, ma, visto che devo riassumere la mia vita di pittore, bisogna partire da quando frequentavo l'Accademia di Venezia, dopo aver conseguito la maturità al Liceo Artistico.

Per motivi burocratici, il mio maestro era Guido Cadorin, ma io preferivo di gran lunga la pittura di Cesetti, così pura, così semplice, piena di gusto per il colore: Cadorin dipingeva in "grigio". Io ed altri amici di allora chiamavamo gli allievi di Cadorin "gli sporcaccioni" perchè il colore era sempre opaco, senza luce nè vita.

Dopo l'Accademia ho aperto lo studio a San Vio, piccolo, piccolo, ma lì ho fatto mosaici, ceramiche, un po' di tutto, per sopravvivere.

Per mia fortuna, dopo la mostra al "Cavallino" da Carlo Cardazzo, uomo di rara intelligenza, Raffaele Carnieri parlò di me su Epoca, accostandomi a De Pisis e De Chirico. Dopo quella mostra le cose cambiarono un po' e cominciai a lavorare col vetro.

Che rapporti avevi col vetro?

Erano vetri incisi al fluoro, eseguiti in collaborazione con l'architetto Zaggia, ma io ho sempre preferito lavorare con la ceramica: mi è sempre sembrato un atto più creativo.

La cucinavo a Treviso da Tognana: erano piatti in caolino e mi divertivo moltissimo. Più tardi, per comodità, ho usato un forno in Campo del Remer a San Polo.

Erano così apprezzate le ceramiche in quegli anni?

A dire il vero, sono ancora più apprezzate oggi perchè appena smetti di fare qualcosa, tutti te lo chiedono.

Ma in quel periodo, oltre alla ceramica, stampavo con un torchio litografico delle matrici di linolium sul velluto. Era una tecnica che mi aveva insegnato Mario Dinon: usando i vari tipi di porporine, si ottengono effetti prodigiosi.

Ciò non toglie che abbia sempre dipinto quadri: Cardazzo li chiamava "teatrini orientali" e quando ho avuto uno studio più grande mi sono dato anche al grande formato.

Ricordo una mostra di cinque grandi tele da Gianni De Marco, che suscitò grande interesse nell'ambiente veneziano.

Più tardi hai cominciato l'insegnamento al Liceo Artistico di Venezia. Con chi hai legato particolarmente?

Era un bell'ambiente e lì ho stretto amicizia con tanti, e specialmente con Pino Cioffi, Saverio Rampin e Sergio Franzoi.

Eravamo sempre insieme anche fuori dell'ambiente scolastico. Andavamo a giocare a carte in calle lunga San Barnaba all'Avogaria. 

Oggi sono spariti quasi tutti. E' come un campo di fiori in cui ogni tanto qualcuno appassisce.

Com'era il collezionismo a Venezia nel dopoguerra?

Durante la guerra c'era fame e si poteva cambiare quadri per un piatto di minestra. .Arturo Deana, per esempio, comperava dai maggiori artisti sia direttamente che alla Biennale ed aveva una collezione prodigiosa nel suo locale "alla Colomba". Lì ho conosciuto Kokoschka: simpatico, matto, alto, con un'aria spiritata ed un gran ciuffo sulla fronte, mentre mi era antipatico De Chirico... 

Ma anche quella Venezia è sparita, nessuno si occupa più di arte perchè mentre allora c'era il gusto di collezionare opere di maestri contemporanei, oggi la gente pensa solo a sciocchezze ed all'automobile.

Qualche volta hai dei ripensamenti?

Con l'esperienza degli ottantadue anni forse non farei più certi errori: forse non sarei un pittore figurativo, ma dipingerei quadri astratti. Continuerei però a sperimentare le tecniche della pittura perchè la sperimentazione è sempre affascinante ed è bellissimo provare le ricette degli altri ed inventarne di nuove.

Hai in progetto qualche mostra?

Sono stufo di fare mostre, voglio stare quieto. E poi mi vergogno, da sempre, a fare mostre.


Il tramonto dai murazzi del Lido di Venezia

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© Serenella Minto