Quel giorno, dal pavimento, si diffuse, orizzontalmente prima, espandendosi e salendo poi, come se si trattasse di un’edera infestante, la suite in SOL maggiore per violoncello di Johann Sebastian Bach. Il suono mi entrò dritto dentro le orecchie, annunciandomi che il telefonino, dove avevo caricato questa melodia, stava squillando insistentemente, che qualcuno mi stava cercando e non avrebbe smesso finché non avessi risposto.
L’aggeggio si trovava sul pavimento a un metro da me, faticosamente allungai la mano per afferrarlo e rispondere, dovetti impegnarmi molto, lottai centimetro dopo centimetro, secondo un esercizio di stretching piuttosto rischioso per i miei legamenti. Infine ci riuscii.
Sei tu? – dissi.
Hai la voce soffocata, ti sei messo la camicia nera, quella col collo stretto? – mi rispose all’altro capo una voce femminile molto seducente.
No, sto facendo la “verticale”, sono a testa in giù e a gambe in su, ma con i piedi appoggiati alla parete, stavo facendo questo esercizio e volevo riuscire a mantenermi così per qualche minuto, qualsiasi cosa stesse accadendo al mondo.
E tu, sei ancora a Venezia?
Si, non posso tornare a casa… puoi raggiungermi, subito, ho bisogno di te, c’è un problema.
Subito?
Si, il più presto possibile, sono preoccupata per Yvan, ho suonato il campanello del suo appartamento, diverse volte, e non risponde. Le finestre hanno tutte gli scuri aperti.
Posso essere lì in una quarantina di minuti.
Va bene!
Abbandonai la “verticale”.
Mi tolsi la tuta da ginnastica, che lanciai più o meno verso il letto. Mi vestii velocemente, corsi giù per le scale, incrociai l’inquilina del piano di sotto che salutandomi rise.
Compresi poco dopo: avevo la patta dei pantaloni aperta, i capelli irti, e allacciato i bottoni del giubbotto sulle asole sbagliate. Ero asimmetrico!
Mi riallacciai il giubbotto correttamente entrando nell’auto. Misi in moto e contemporaneamente mi riassestai i capelli partendo veloce in direzione Venezia. Mezz’ora dopo ero a Piazzale Roma, dove parcheggiai l’auto, e mi diressi di corsa verso San Basilio.
Finalmente arrivai dove mi aveva indicato Chicca, che trovai pallida ed evidentemente preoccupata.
Allora?
Come ti ho detto Yvan non risponde, senz’altro è in casa, che è lì al secondo piano. E’ da due giorni che nessuno lo vede scendere. Non ci rimane che fare intervenire i pompieri.
Telefonammo.
Yvan, molti anni prima, era stato il docente di figura di Chicca, al liceo artistico di Venezia e ora, da anni, non aveva più nessuno al mondo.
Dopo una decina di minuti si sentì ululare, a tutto volume, la sirena della lancia dei pompieri . Ormeggiarono la barca sulla riva, veloci. In un attimo scaricarono le scale estendibili con cui si sarebbero arrampicati fin sul davanzale: sarebbero entrati dalla finestra. Li vidi organizzare la salita, determinati come teste di cuoio: il portoncino d’ingresso era chiuso dall’interno col catenaccio.
Si formò, quasi immediatamente, il solito capannello di curiosi.
“E’ la casa del pittore, quello del gruppo di Vedova e Tancredi, deve essergli successo qualcosa, non scende più… ha quasi novant’anni…”
Noi intanto salimmo al secondo piano percorrendo le ripide rampe di scale, dalla pendenza di tornanti di montagna. Appena entrati nell’appartamento i pompieri ci avrebbero aperto la porta di ingresso.
Pensai che quando nacque Venezia, l’età media doveva essere la metà rispetto quella odierna, o anche meno, e gli architetti di allora impostarono la pendenza delle scale anche in base alla diversa agilità e flessibilità degli abitanti di allora.
Dopo pochi minuti la serratura scattò dall’interno: clack-clack-clack. Uno dei pompieri ci aprì, entrammo.
Tutto bene, non è successo niente. – ci disse.
Per me era la prima volta che visitavo casa sua, mi emozionai.
Sentii vari rumori regolari, come se ci fossero tanti orologi a pendolo, ma semplicemente erano i rubinetti che perdevano: dal lavello della cucina, dal bidè e dalla vasca da bagno e... praticamente tutti. E alzando la testa vidi una macchia enorme sul soffitto: l’inquilino di sopra aveva una perdita consistente. E doveva essere piuttosto datata. Insomma, l’impianto idraulico dell’appartamento e di tutto l’edificio era un disastro.
Accatastati sul pavimento e sulle pareti c’erano centinaia di quadri, disegni, pacchi di fogli di carta e poi pennelli e tubetti di colore, ovunque. Notai almeno 5-6 tele, su altrettanti cavalletti. Gli odori del colore a olio e tempera permeavano l’appartamento.
Tutti i quadri, i disegni, le bozze erano girati sul dorso, cosa rappresentassero e se fossero finiti, o meno, non si poteva intuire.
Mi parve di entrare in un ‘altra dimensione, in un mondo parallelo dove avevano, magnificamente, trionfato i colori su tutto, stravincendo.
Yvan era seduto sul pavimento circondato da una certa quantità di bottiglie vuote, che non erano di acqua. Non riusciva a rimettersi in piedi per via dei calzini di nylon che indossava, particolarmente sdrucciolevoli. Doveva averli indossati con l’aiuto della signora delle pulizie, che un paio di volte a settimana passava da lui, ora, da solo, non riusciva neppure a toglierseli. Ad una certa età non bisogna dare per scontato più nulla. E per capire come mai il telefono non funzionasse bastava osservare la cornetta: rosicchiata e fessurata, sembrava un osso che fosse stato addentato ferocemente da un rottweiler. Così aveva passato un paio di giorni gattonando come un bambino.
Ciao Yvan.
Ciao Frank.
Passavamo di qua.
Ci venne da darci del tu, non lo vedevo da qualche settimana dopo quell’unico incontro a Mogliano, mi parve di andare a trovare mio nonno che tanto brevemente avevo conosciuto.
Ti andrebbe di uscire con noi Yvan, andiamo in “Trattoria alla Madonna”: pesce.
Aspetta che guardo l’agenda… e sorrise.
Dopo un paio d’ore uscimmo dalla casa-atelier.
Chicca lo aiutò a vestirsi e a sistemarsi, gli allacciò un bel foulard, faceva freddo fuori, in testa un cappello sulle ventitre, scelse il migliore bastone da passeggio che aveva, ormai indispensabile per lui, col manico d’osso che rappresentava la testa di un’aquila.
Scommetto che giù pensavano fossi morto.
Si Yvan, e invece adesso scendiamo tutti e tre sgambettando. Ho l’acquolina in bocca, ho corso come Schumacher per arrivare presto da Treviso, ce la facciamo una bella frittura mista?
Aggiudicata, con vino bianco sfuso che alla “Madonna “ hanno delizioso. Col pesce ci va il vino bianco … sono due giorni che bevo soltanto rosso.